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Alla vigilia dell’insurrezione

Alla fine dell’estate del 1917 l’alta marea riprende a spingere in avanti il partito bolscevico. Il tentativo di colpo di Stato del generale Kornilov, spazzato via in pochi giorni dalla mobilitazione delle masse, lascia scoperto anche il governo Kerenskij, le cui complicità col generale sono evidenti.

Ancora poche settimane prima il partito bolscevico veniva perseguito con le accuse sull’“oro tedesco”; Lenin era costretto alla clandestinità, Trotskij, Kamenev e altri dirigenti arrestati, i giornali bolscevichi proibiti. Ma tra le masse avviene una nuova svolta repentina. Operai, contadini e soldati si allontanano dai partiti riformisti (menscevichi e socialrivoluzionari) fin lì egemoni e si orientano rapidamente ai bolscevichi. Ai primi di settembre nei soviet di Pietrogrado e Mosca per la prima volta la maggioranza passa ai bolscevichi. Trotskij, scarcerato da pochi giorni, viene eletto presidente del Soviet di Pietrogrado.

La svolta nella situazione spinge Lenin a imprimere una svolta altrettanto netta nella politica dei bolscevichi: l’insurrezione, la presa del potere, si pone all’ordine del giorno. Lenin esige la rottura dei bolscevichi con il “preparlamento” convocato dal Governo come primo passo verso l’insurrezione. La proposta finisce in minoranza; indomito Lenin rilancia: “Il boicottaggio è stato sconfitto, ma viva il boicottaggio! Trotskij era per il boicottaggio: bravo compagno Trotskij!”.

Ancora costretto nel suo nascondiglio, inizia una campagna martellante attraverso scritti come Note di un pubblicista, Il marxismo e l’insurrezione, La crisi è matura, I bolscevichi devono assumere il potere statale. La fase della propaganda, del progresso pacifico, della rivoluzione è terminata, la conquista del potere non è più un obiettivo distante e nebuloso, ma il compito urgente del giorno.

La svolta apre nel vertice bolscevico una crisi profonda che rinnova le lacerazioni del mese di aprile. Kamenev e Zinoviev, dirigenti storici, si schierano contro l’insurrezione. La presa del potere, argomentano, sarebbe un’avventura destinata a finire come la Comune di Parigi, l’esercito non è con noi, le masse sono stanche, col tempo il partito bolscevico si rafforzerà ulteriormente e può diventare una forza importante nella futura Assemblea costituente. Contro l’attendismo e il dottrinarismo dei suoi oppositori, Lenin affonda il colpo: “Il destino della rivoluzione russa e mondiale – ribatte – dipende da due o tre giorni di lotta aperta”. La crisi non può più essere risolta con votazioni e risoluzioni, “neppure dei congressi dei Soviet”, ma dipende dalla “lotta diretta delle masse armate per il potere”.

La divisione si esplicita in una riunione segreta del Cc bolscevico il 10 ottobre, ma il 18 Kamenev e Zinoviev rendono pubblico lo scontro attraverso il giornale menscevico Novaja Zizn. La situazione diventa incandescente. Lenin bolla Zinoviev e Kamenev come crumiri e ne chiede l’espulsione dal partito.

Mentre si sviluppa questo scontro, indispensabile per compattare la volontà del partito rivoluzionario alla vigilia del momento decisivo, il Soviet di Pietrogrado, su inopinata proposta dei menscevichi, delibera la costituzione di un nuovo organismo sotto il proprio controllo: il Comitato militare rivoluzionario. Nel giro di pochi giorni, sotto la guida di Trotskij, il Comitato si assicura l’adesione di quasi tutte le unità militari che formano la guarnigione di Pietrogrado. La vecchia parola d’ordine “tutto il potere ai soviet”, che in aprile era “la parola d’ordine dello sviluppo pacifico della rivoluzione” (Lenin), assume ora il significato di “tutto il potere ai soviet bolscevichi” e diventa definitivamente la parola d’ordine dell’insurrezione. È la vigilia dell’ultimo atto.

 

(8 – continua)

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