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50 anni fa nascevano le Pantere Nere

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“Non mi fido più di voi, voi che continuate a dire «Andiamo piano!»” così cantava Nina Simone nel 1964, interpretando un sentimento molto diffuso tra la gioventù afroamericana. Anche se la schiavitù era stata abolita dopo la guerra civile (1865) per la comunità nera nel secondo dopoguerra la vita era ancora segnata dalla segregazione, dalla violenza e dalla povertà. Negli stati del sud il linciaggio dei neri era uno sport nazional-popolare. In tutto il paese le uccisioni di uomini di colore, in particolare giovani, da parte della polizia erano quotidiane. Il movimento per i diritti civili si sviluppa contro questa situazione e prende un carattere di massa a partire dalla fine degli anni cinquanta. Ma alla metà degli anni 60, gli scarsi risultati ottenuti dalla moderazione del gruppo dirigente del movimento e le continue violenze della polizia e dei razzisti, tra cui l’assassinio di Malcolm X nel 1965, spingono i giovani neri a radicalizzarsi. Se in un primo momento questo trova un’espressione nel nazionalismo nero, in seguito questa radicalizzazione troverà una strada internazionalista e anti-capitalista. Ed è su questa spinta che il 15 ottobre del 1966 nasce ad Oakland il Partito delle Pantere Nere per l’Autodifesa.

Una crescita impetuosa

Le Pantere Nere vengono fondate da due studenti di Oakland, Bobby Seale e Heuy P. Newton, con un programma in 10 punti che chiedeva, oltre alla fine della brutalità della polizia, la piena occupazione, sanità gratuita e alloggi decenti. I due finanziano la fondazione del partito vendendo copie del Libretto rosso di Mao agli altri studenti del college. Questo dimostrava che, se da un lato c’era la coscienza che per risolvere il problema del razzismo bisognava combattere il capitalismo, dall’altro però dimostrava anche la confusione ideologica dei fondatori, la cui teoria era un misto di idee in voga nel periodo, dal maoismo alla guerriglia urbana terzomondista. Comunque le Pantere Nere riescono a radicarsi nella comunità afroamericana e a crescere velocemente. Grazie a una iconografia particolare e presto entrata nell’immaginario collettivo, quella dei baschi neri, degli occhiali scuri e delle giacche di pelle, e ad alcune azioni molto efficaci sul piano delle comunicazioni di massa, conquistano presto i giovani in cerca di una alternativa radicale.

Le Pantere giravano armate, in divisa, con incedere marziale e disciplinato, e affrontavano i poliziotti col codice civile in mano, facendo valere i propri diritti con la forza delle armi. Quando il 2 Maggio del 1967 si presentano all’assemblea legislativa di Sacramento per difendere il loro diritto a possedere armi, le foto di questi uomini neri, in divisa, con i fucili bene in vista, appostati sulle gradinate di un palazzo governativo, fanno presto il giro del mondo e seducono migliaia di giovani radicalizzati. A questo va aggiunto un programma sociale nei quartieri poveri, come la colazione gratuita per i bambini delle elementari. Il Partito cresce quindi rapidamente, arrivando nel suo picco massimo ad avere 5000 militanti in 68 sezioni in diverse città americane, e a diffondere 250000 copie a settimana del proprio giornale, The Black Panther. Non poteva quindi passare inosservato agli occhi dello stato e dell’FBI, allora guidata dal fanatico anticomunista J. Edgar Hoover.

Repressione e disgregazione

Le Pantere, uomini neri armati e con una coscienza di classe, diventano presto il nemico pubblico numero uno. Lo stesso Hoover li definisce “la più grande minaccia alla sicurezza interna del paese”. L’FBI mette all’opera contro le Pantere un programma di azioni di controintelligence, infiltrazioni e sabotaggio volte a creare confusione e divisioni nel partito (noto come Cointelpro). A cui affiancarono una buona dose di violenza. Non solo arresti, come quello clamoroso di Huey Newton avvenuto già nel 1967, ma anche gli omicidi dei leader, come Bobby Hutton, il 17enne tesoriere del partito, assassinato nel 1968 e quello, nel 1969, di Fred Hampton, uno dei leader più carismatici, massacrato nel suo letto nel pieno della notte. Ma la repressione statale non avrebbe potuto funzionare se non avesse trovato un terreno fertile. Il vero limite delle Pantere Nere era intrinseco e stava sostanzialmente nella sua teoria e nella sua organizzazione. A dispetto di quanto poteva apparire a prima vista, le Pantere avevano un apparato ideologico estremamente confuso e una organizzazione leaderistica e non democratica. Sono questi elementi di confusione e verticismo a minare il partito e a farlo deragliare, portandolo a scissioni, la prima e più grande nel 1971, e all’avventurismo armato, sfociato in molti casi nel mero gangsterismo.

La lotta continua!

Le Pantere Nere si sciolgono nel 1981 quando ormai la sua influenza è diventata insignificante già da diversi anni. La loro eredità e il loro esempio restano comunque importanti per noi oggi. Oggi che l’America, anche se ha un presidente nero, non è meno razzista, come dimostra la nascita e lo sviluppo del movimento Black Lives Matter. L’idea che aveva spinto le Pantere a organizzarsi, cioè che il nemico è il capitalismo e che serve l’unità della classe lavoratrice per vincerlo, resta corretta e va difesa, ma bisogna imparare dai loro errori. Dotarsi di una teoria limpida e organica, di un programma conseguente e di metodi democratici è l’unico modo che può permettere a una organizzazione rivoluzionaria di radicarsi nella classe lavoratrice e di unirla, al di la del colore della pelle, ottenendo così la forza necessaria per vincere. Questo è il compito più importante per chiunque voglia sul serio lottare per il socialismo.

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