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2013-17: una legislatura infame

La legislatura appena conclusa ha fatto emergere nel modo più cristallino sul piano politico tutte le contraddizioni di un sistema economico in profonda crisi. Vale la pena ripercorrerne le tappe principali.

Alle elezioni del 2013 sono stati puniti tutti i partiti che avevano sostenuto il governo Monti e le sue durissime politiche di austerità. In assenza di una sinistra radicale e credibile, la rabbia dei giovani e dei lavoratori contro quelle politiche si è espressa nel voto massiccio per il Movimento 5 stelle, l’unico partito percepito come alternativa credibile. Un terremoto politico che ha sancito la fine del bipolarismo e che ha dato vita a una legislatura sotto il segno dell’instabilità, senza una maggioranza chiara in entrambi i rami del parlamento.

Per il padronato italiano era però indispensabile, nel pieno della crisi economica iniziata nel 2008, evitare un ritorno alle urne e dotarsi di un governo capace di continuare gli attacchi ai lavoratori e allo stato sociale. Sotto questa spinta nasceva il primo governo cosiddetto di “larghe intese”, sostenuto da Pd e Pdl, con a capo Enrico Letta. Un governo però inadeguato allo scopo, troppo lento, troppo condizionato da un equilibrio precario. Letta, infatti, pur portando avanti politiche di “risanamento dei conti pubblici” (ovvero di tagli allo stato sociale) e regalìe al sistema bancario (una defiscalizzazione da 19,8 miliardi di euro) non era in grado di fare quelle riforme strutturali che i padroni chiedevano.

Trionfo e sconfitta di Renzi

Proprio promettendo di fare quelle riforme in tempi rapidi Renzi, allora sindaco di Firenze, è riuscito a raccogliere ampi consensi tra i padroni, che lo hanno sostenuto e finanziato inizialmente alle primarie del Pd, aiutandolo a diventare segretario del partito, e poi, nel febbraio del 2014, portandolo al governo.

Nei mille giorni della sua esistenza il governo Renzi è stato un vero e proprio ariete del padronato. Su tutti i provvedimenti presi svetta il Jobs act, la controriforma del mercato del lavoro con cui è stato abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e sono stati introdotti il contratto a tutele crescenti e la decontribuzione sulle nuove assunzioni (un regalo alle aziende da 18 miliardi di euro). Ma non è stato certo l’unico.

La riforma Poletti ha cancellato la causale per i contratti a tempo determinato, eliminando un ostacolo al loro rinnovo perpetuo. Di fatto, una riforma del lavoro che ha reso strutturale la precarietà e regalato ingenti somme ai padroni (oltre a lasciare loro carta bianca sul destino dei lavoratori).

A questo vanno aggiunti i miliardi di fondi pubblici per i salvataggi delle banche venete (fino a 20 miliardi messi a garanzia) e il taglio dell’Ires, la tassa sui profitti delle società di capitale, un altro regalo da 3,6 miliardi.

L’elemosina degli 80 euro e una legge minimalista sulle unioni civili sono state il tentativo di darsi una verniciata “popolare”.

La famigerata “buona scuola”, ha gettato nel caos le istituzioni scolastiche, colpendo duramente sia gli insegnanti che gli studenti, in particolare con l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro che sempre più spesso si manifesta come puro e semplice lavoro gratuito senza retribuzione né tutele.

Sono intanto continuati i tagli alla sanità e ai servizi (si stimano in circa 9 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi a causa delle spese eccessive e del taglio dei servizi).

Ma l’apparente invincibilità di Renzi “asso pigliatutto” della politica italiana era solo un’illusione ottica: il segreto dei suoi successi era semplicemente nell’inesistenza di qualsiasi vera opposizione politica o sindacale. Quando Renzi da giocatore d’azzardo ha tentato il rilancio con la riforma costituzionale, 20 milioni di cittadini, circa il 60 per cento, ha colto l’occasione per dargli finalmente un colpo in piena faccia. Il 5 dicembre Renzi era un ex premier.

Gentiloni: renzismo senza Renzi

Con il precipitoso insediamento del governo Gentiloni la borghesia correva a turare la falla prima che si allargasse aprendo la strada a un movimento di opposizione di massa nel paese. In questo lavoro sporco decisivo è stato l’apporto delle forze della “sinistra” oggi organizzate
in Liberi e Uguali.

Con Gentiloni cambiava lo stile, ma l’operato del suo governo non si è distinto nella sostanza, anzi, per certi versi è stato anche peggiore di quello di Renzi. Basta qui ricordare il decreto Minniti contro i migranti, gli accordi con le bande libiche per controllare i flussi migratori, i daspo urbani, l’estate dei manganelli e il decreto sui vaccini, oltre alla riconferma delle decontribuzioni, i tagli alla sanità, alle politiche sociali (423 milioni) e ai fondi per l’istruzione e la ricerca. Inoltre, con una semplice manovra parlamentare Gentiloni seppelliva anche i referendum promossi dalla Cgil sui voucher e gli appalti, mettendo crudelmente in luce una volta di più le patetiche illusioni della burocrazia sindacale di poter ritrovare il famigerato “governo amico” (loro) o almeno la tanto sospirata “sponda politica”. L’ultimo schiaffo lo hanno preso da Gentiloni nel loro patetico tentativo di mitigare in misura minima gli effetti della legge Fornero.

A parlamento ormai sciolto sono riusciti anche ad approvare la missione militare in Niger.

Cinque anni senza opposizione

I pentastellati, al di là dei proclami altisonanti (“apriremo il parlamento come una scatoletta”), a causa della loro visione populista e interclassista sono stati incapaci di organizzare la rabbia crescente nel paese in un movimento di piazza in grado di coinvolgere e mobilitare le grandi masse. Sul piano sindacale, la Cgil si è ritrovata completamente disorientata dal terremoto politico e dalla svolta di Renzi e del Pd. La verità è che nessuno ha mai avuto la volontà e la fiducia di fare appello alla grande maggioranza della popolazione, e innanzitutto ai lavoratori e ai giovani, a scendere in campo in un movimento di piazza che pure era possibile. Per Susanna Camusso l’avere abbandonato la mobilitazione contro il Jobs act e la “buona scuola”, che pure erano in corso, rimane una macchia incancellabile, come la capitolazione sulla legge Fornero nel 2011.

L’unico cambiamento può venire solo dalla ripresa di un movimento di lotta nei luoghi di lavoro e nel paese, e dalla costruzione di un’opposizione di classe, da una sinistra rivoluzionaria capace di porsi chiaramente l’obiettivo di rovesciare il sistema per intero.

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