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1917: la formula esplosiva del “dualismo di potere”

Una rivoluzione opera della classe operaia e dei contadini in uniforme da soldati che porta al potere un governo di principi, industriali, proprietari terrieri, ancora il giorno prima monarchici o liberali. Questo fu il paradosso del febbraio 1917.

Dalla rivoluzione erano scaturiti due organi nettamente distinti: il governo provvisorio da un lato, il Soviet dall’altro. In termini marxisti fu un dualismo di potere.

Il Soviet (“consiglio”) rinacque a Pietrogrado già la sera del 25 febbraio. Gli operai si riallacciarono immediatamente alla tradizione della prima rivoluzione del 1905 ed elessero i loro delegati; lo stesso fecero i soldati della guarnigione. Il primo Comitato esecutivo del Soviet in realtà fu autonominato e si compose in larga misura di intellettuali e dirigenti dei partiti riformisti.

Ma non fu solo per una manovra che le masse insorte si ritrovarono prive di una direzione realmente fedele ai loro interessi ed alle loro aspirazioni: c’erano cause più profonde.

Verso il 1914 i bolscevichi, ossia l’ala rivoluzionaria, erano largamente predominanti nella classe operaia organizzata a Pietrogrado e, seppure in misura meno omogenea,

Il Principe L’vov, capo del Governo provvisorio dal 15 marzo al 21 luglio 1917

negli altri centri principali della Russia. Lo testimoniavano i dati elettorali, della diffusione della stampa operaia, ecc.

Tuttavia se nel 1914 il movimento si contava a migliaia o decine di migliaia, ora si contavano le centinaia di migliaia e i milioni. Le avanguardie politicizzate erano state alla testa dell’insurrezione, ma vennero temporaneamente “diluite” in una massa enorme e fino al giorno prima spoliticizzata di lavoratori da poco entrati nelle fabbriche con la mobilitazione dell’industria di guerra. Tale effetto fu amplificato dalla rappresentanza dell’esercito, politicamente più amorfo: nel Soviet di Pietrogrado circa 400mila operai eleggono metà rappresentanti rispetto a 150mila soldati. Le province, che hanno semplicemente seguito Pietrogrado senza neppure dover combattere, rafforzano la tendenza conciliatrice più arretrata. Le campagne seguono in primo luogo i socialrivoluzionari, tradizionalmente considerati il partito dei contadini.

In questa congiuntura i partiti che verrano chiamati “conciliatori”, ossia il Partito socialrivoluzionario (Sr) e i menscevichi, si trovano automaticamente avvantaggiati. A differenza dei bolscevichi, non hanno subìto la repressione durante la guerra, hanno goduto di un’esistenza legale o semilegale nei vari organismi di collaborazione di classe messi in piedi dalla borghesia per sostenere lo sforzo bellico, i loro deputati non sono finiti in Siberia, gli intellettuali, gli strati piccolo borghesi risvegliati dalla rivoluzione, si rivolgono spontaneamente ai “nomi noti” che sotto lo zarismo costituivano l’opposizione ufficiale

I partiti conciliatori, dominatori dei Soviet che a loro volta si basano sulle masse insorte e in armi, hanno di fatto in mano il potere, ma si affrettano a riconsegnarlo alla borghesia, che considerano l’unica classe titolata ad esercitare il potere. Ma, come si dimostrerà nei mesi successivi, assumendo il potere la borghesia liberale non ha alcuna intenzione di risolvere i problemi che hanno generato l’esplosione rivoluzionaria, in primo luogo la guerra.

Un governo dotato del potere formale, ma privo della forza reale; un Soviet che dispone della forza reale, ma paralizzato dai suoi dirigenti opportunisti: in questa contraddizione sono già scritti gli scontri degli otto mesi successivi che sfoceranno nell’ottobre.

[2 – continua]

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